andrea
- michisabatini
- 7 ott
- Tempo di lettura: 7 min

Andrea non aveva mai provato quella sensazione, intravista nelle altre persone, di sentirsi bene all’interno del proprio corpo. L’incontro mattutino e quotidiano con lo specchio era sempre stato come un pugno sul ventre, una voragine nello stomaco dove lasciar precipitare i biscotti della colazione. Non bastavano le lacrime, le grida, i pugni sulla porta, a convincere il padre Roberto a permettere ad Andrea di restare a casa, perché la scuola era terrorizzante.
A volte avrebbe voluto abbandonare il proprio corpo, guardarlo da ogni prospettiva possibile, da davanti, da dietro, di lato, dal basso e dall’alto, fino a librarsi in cielo e guardarlo scomparire, come un lontano puntino sul terreno. Più di ogni altra cosa al mondo, avrebbe voluto semplicemente riconoscerlo come proprio. La sofferenza maggiore era causata dalla certezza che non lo avrebbe mai sentito tale.
Il malessere provato da Andrea era iniziato in tenera età, ma era stato compreso solo durante l’adolescenza. La madre Gianna aveva cominciato a capire, intorno ai suoi dodici anni, mentre per Roberto, militare vecchia scuola oramai in pensione, erano tutte sciocchezze da adolescenti. Nemmeno i compagni di classe, ma soprattutto le compagne, riuscivano a comprendere ciò che provava. Per questo motivo, fin dal primo giorno di scuola, si erano fatte beffe del suo modo di vestire, della sua postura, di come parlava. E Andrea non aveva potuto far altro, ogni singolo giorno, che correre in bagno in lacrime e singhiozzare di fronte allo specchio, costringendosi ancora una volta a osservare il proprio riflesso, senza ancora riuscire a riconoscersi.
Si liberò di quel dannato specchio della sua stanza, che sembrava rappresentare il suo più grande incubo, l’ultimo giorno della terza media, il giorno prima della pizzata di classe. Lo ruppe con un cazzotto, in un impeto di rabbia, e lo osservò frantumarsi in mille pezzi e inondare le nocche di sangue. Nel silenzio della sua cameretta, aveva osservato il pezzo di vetro più grosso, appuntito, e lo aveva afferrato con il palmo della mano. Senza fiatare, aveva cercato per la prima e ultima volta di librarsi sopra il proprio corpo, aprendo un varco di libertà sui polsi. Aveva reclinato la testa indietro, chiudendo gli occhi e, sedendosi sul pavimento, aveva abbozzato un titubante sorriso. Non aveva provato alcun dolore, né fastidio, nel sentire le tiepide gocce color vermiglio scorrere lungo le braccia e scendere sui piedi e sulle gambe. Solo un ovattato, bianco silenzio.
Era stata Gianna a trovare il suo corpo privo di conoscenza. In lacrime, disperata, aveva immediatamente chiamato l’ambulanza ed era riuscita a portare Andrea in salvo. Quella, trascorsa nella bianca e inquietante stanza della clinica, costretta a parlare con decine e decine di psichiatri, altri adulti di cui non riusciva a fidarsi, era stata l’estate peggiore della sua vita.
Dopo quell’estate, il silenzio bianco e ovattato aveva accompagnato Andrea per il resto della sua adolescenza. Al liceo la vita non era stata certo più semplice: il trio delle S – così aveva rinominato Sara, Sofia e Silvia – tormentava Andrea ogni mattina. Aveva iniziato a truccarsi come voleva, a indossare abiti larghi e colorati, a portare i capelli come aveva sempre desiderato. La cosa, naturalmente, non era stata accettata dal trio delle ragazze perfette, con i loro boccoli impeccabili, i vestiti alla moda e la lunga scia di profumo rilasciata dalle loro baldanzose passeggiate nei corridoi. Andrea le detestava profondamente, ma non era ancora in grado di odiare nessun altro al mondo più del proprio riflesso: niente era ancora cambiato da quell’estate infernale.
Non erano bastati l’impegno di Gianna nel cercare di comprendere e far sentire la sua creatura apprezzata e ascoltata, né le ore trascorse con gli psichiatri o la terapia farmacologica prescritta dai dottori, a convincere Andrea ad abbandonare quel disagio e quel disprezzo che colmava ogni centimetro del suo corpo. L’incapacità di comprensione di Roberto, che lo aveva portato a chiudere ogni possibilità di dialogo al di fuori del saluto mattutino, non aveva certamente aiutato. Circondata dalle amiche della parrocchia e dalle colleghe di lavoro più anziane, che si rifiutavano di accettare il malessere di Andrea, oltre che da un marito rude e silenzioso, Gianna si trovava sempre più in difficoltà nel suo tentativo di capire ciò che provava.
Quando la televisione annunciò la chiusura di tutte le scuole a causa della pandemia, Andrea non poté far altro che gridare dalla gioia: non avrebbe più rivisto il trio delle S, avrebbe trascorso le giornate a casa a riposarsi e forse avrebbe persino chiarito con i genitori. Durante i primi mesi di quarantena, tuttavia, Gianna si dimostrò sempre più paranoica riguardo ai rischi del contagio, costringendo l’intera famiglia alle più rigide regole igieniche e comportamentali per evitare qualunque tipo di contatto. Il rapporto tra Andrea e i genitori si incrinò sempre di più, fino al punto in cui non uscì quasi più dalla stanza da marzo a giugno. Gli scambi verbali si ridussero al minimo.
Ancora una volta, fu l’estate a cambiare la vita di Andrea. Nonostante le restrizioni imposte da Gianna fossero sempre più rigide, quelle del governo vennero allentate a causa della diminuzione dei contagi. L’adolescente, dopo mesi trascorsi in casa con un padre silenzioso e una madre paranoica, sentiva la necessità di uscire e riprendere la propria vita in mano, nonostante l’immancabile e opprimente malinconia che quei mesi di isolamento avevano provocato nel suo cuore. Durante i noiosi pomeriggi trascorsi a scorrere il feed di Duck.com, aveva conosciuto Nicol, una sua coetanea con la quale condivideva numerosi interessi, dalla musica al modo di vestire, dal rapporto conflittuale con i genitori al disagio interiore. Per la prima volta, Andrea aveva provato la totale comprensione da parte di un’altra persona. Insieme decisero di uscire di nascosto per trascorrere una serata in un locale sulla spiaggia, Passion Fruit, noto per gli esilaranti e melodici spettacoli drag.
Le luci rosa e blu si riflettevano sui bicchieri appannati, sui volti sorridenti, sugli occhi truccati e brillanti di chi si appropinquava a salire sul palco. Lo spettacolo iniziò con un battito di ciglia e un’esplosione di lustrini. Le drag queen danzavano, cantavano, urlavano al mondo la propria esistenza senza chiedere il permesso a nessuno. Ognuna sembrava essere esattamente dove aveva sempre desiderato, dentro e fuori. Andrea non riusciva a staccare gli occhi da loro: nelle espressioni dei loro volti non percepiva alcuna scusa, nessun dubbio, nessuna paura. Non era solo il trucco, né le parrucche o le scarpe dai tacchi vertiginosi: era l’evidente armonia tra ciò che avevano dentro e ciò che erano fuori.
Per la prima volta, tra quelle risate e quei gesti esagerati, Andrea provò un brivido di riconoscimento: la solitudine che da sempre aveva vissuto sembrava essere scomparsa. Dunque essere ciò che si voleva era possibile, essere sé stessi era possibile.
Andrea e Nicol si riconobbero negli sguardi reciproci, e i loro cuori non avevano mai sorriso così tanto. Quella notte magica terminò con i piedi nudi immersi nella sabbia tiepida, le teste appoggiate l’una all’altra e il cuore che batteva troppo forte per riuscire a dormire. Andrea camminò fino a casa senza neppure badare al lungo tragitto. Non sentiva più il peso del proprio corpo, ma piuttosto la sua assenza, una sensazione di leggerezza mai provata prima. Non era ancora in quello desiderato, ma per la prima volta sapeva che quel corpo non sarebbe stato una prigione per sempre.
L'indomani arrivarono i guai: Gianna aveva udito i passi di Andrea durante l'ora tarda, e la mattina non aveva nascosto il proprio disappunto, tra grida e rimproveri che rimbalzarono per giorni tra le pareti di casa. Come al solito, Roberto non reagì in modo differente dal silenzio.
Con la fine dell'estate, i contagi aumentarono a dismisura, e vennero nuovamente reintrodotte le leggi restrittive, la quarantena e il coprifuoco. La situazione per Andrea peggiorò ulteriormente, proprio ora che aveva capito così tanto di sé, senza la possibilità di potersi esprimere come desiderava. Nella sua stanzetta, ancora una volta, regnava il silenzio, quello che aveva sempre vissuto e che detestava sempre più ardentemente.
Non poteva uscire, non poteva incontrare nessuno, non poteva scappare. Non rimaneva che guardare il proprio riflesso. E giorno dopo giorno, quel volto sembrava allontanarsi sempre di più. Non per l’età, non per i cambiamenti tipici della crescita, ma per la crescente distanza tra ciò che era visibile e ciò che premeva da dentro, come un fiore sotto il terreno che non riesce a rompere la crosta e sbocciare.
Andrea smise definitivamente di parlare. Il silenzio tornò a essere rifugio e condanna, e il dolore si fece invisibile, ma costante, come un’eterna stretta alla gola.
E poi venne la febbre.
In un primo momento sembrava solo stanchezza. Poi arrivò il respiro corto, la scomparsa del senso dell’olfatto, la tosse. Andrea non disse nulla: si chiuse in camera, abbracciando il proprio corpo, quel suo vecchio nemico, con carezze quasi di perdono. Dopo i primi tremori, qualcosa iniziò a cambiare. Lentamente.
Il viso, il tono della voce, persino la pelle sembravano piegarsi a una nuova forma. Come se il virus, scardinando ogni sicurezza del mondo esterno, avesse deciso di aprire una via anche dentro.
Andrea fissò lo specchio con incredulità, senza riuscirsi a spiegare quella metamorfosi. Eppure, per la prima volta, il riflesso non pareva così lontano da ciò che sentiva dentro. Al contrario, era come se il corpo stesse tornando a sé, come se avesse ascoltato finalmente l’anima a lungo repressa. Non era solo una febbre: era un nuovo inizio. Doloroso, solitario, ma necessario. Era tutto ciò che Andrea aveva sempre sognato.
Quando il virus se ne andò, qualcosa rimase: non era più lo stesso riflesso. A dire il vero, non era più nemmeno lo stesso corpo. Andrea, per la prima volta, si vide. E si riconobbe. La voce, il portamento, le curve del volto, la presenza. Ora capiva come si dovevano sentire le drag queen del Passion Fruit: libere, leggiadre, al posto giusto. Ogni cosa sembrava finalmente appartenere.
Quando Gianna aprì la porta della stanza, per poco non ebbe un mancamento: dove era Andrea, la giovane persona che aveva accudito e cresciuto per diciassette anni? Era proprio lì, davanti ai suoi occhi. Finalmente nella forma che aveva sempre desiderato.
Gli anni precedenti, trascorsi a cercare di comprendere, con non poca apprensione, avevano dato i loro frutti: ci volle del tempo, ma Gianna riuscì finalmente a scorgere la gioia nei suoi occhi. E alla fine ignorò le critiche delle colleghe, le male lingue delle amiche di parrocchia, i ruvidi silenzi del marito, e colse ciò che Andrea aveva sempre tentato di farle capire. E gli abbracci tra di loro non erano mai stati così caldi e avvolgenti.
Il tempo della pandemia fu una tragedia per il mondo, ma per Andrea rappresentò rinascita. Non vi era stato bisogno di spiegazioni, né di approvazioni, nessun intervento, nessun bisturi. Andrea aveva vinto la battaglia più importante: quella contro la distanza tra il sé e il proprio involucro.
Quando il mondo tornò ad aprirsi, Andrea uscì di casa con passo lento, ma deciso. Le stesse strade, lo stesso quartiere, ma tutto appariva diverso. Persino il trio delle S era ormai un lontano, grigio ricordo. Il sole sembrava finalmente riscaldare anche la pelle.
In fondo, forse era questo che voleva dire vivere: smettere di sopravvivere in un corpo che non ti somiglia e cominciare ad abitarsi, con rispetto, con amore.
E Andrea, ora, finalmente, riusciva ad abitarsi.
WOW
Travolgente!
Very good!